SULL’ASSEGNO DIVORZILE “NO” A INDAGINI PATRIMONIALI ESPLORATIVE

Pubblicato da il 13 novembre, 2017

Per determinare l’assegno divorzile, le indagini patrimoniali sono ammesse solo se sono tese a integrare un bagaglio istruttorio esistente. Non è possibile invece ricorrere alle indagini patrimoniali solo a fine esplorativo, per supplire alla mancanza di prova.

Di conseguenza, se dai carteggi risulta l’incapacità della ex moglie di sostenersi, l’assegno le va confermato. Lo sostiene la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza 1143 dello scorso 14 giugno (presidente Novara, estensore Nicoletti).

A impugnare quanto statuito in sede di divorzio, è l’ex marito, onerato dal tribunale di un assegno per i figli, uno dei quali maggiorenne, e di un assegno per la moglie. L’ex moglie alza la posta e chiede l’aumento delle somme.

La decisione sull’assegno
La Corte, però, conferma quanto deciso in primo grado. Se, da un lato, il contributo per il mantenimento dei figli era stato già aumentato, dall’altro devono essere considerate le loro maggiori esigenze correlate alla crescita. Ciò, soprattutto con riferimento al più grande, studente universitario fuori sede. Del resto – ricorda la Cassazione con la sentenza 18538/2013 – la determinazione del contributo per i figli, a differenza di quello per il coniuge, non si basa sulla rigida comparazione della situazione patrimoniale di ciascun genitore, per cui le maggiori potenzialità dell’affidatario concorrono a garantire un migliore soddisfacimento delle loro esigenze di vita «ma non comportano una proporzionale diminuzione del contributo posto a carico dell’altro».

Inoltre, il sensibile divario economico tra le parti e la situazione agiata dell’appellante suggeriscono la conferma della misura dell’assegno, oltre che per i figli, anche per l’ex coniuge. L’ex moglie, infatti – pur impegnatasi per inserirsi in un contesto lavorativo adeguato alla qualificazione professionale ottenuta – non ha i mezzi adeguati per vivere. L’assegno le spetta, dunque, anche alla luce del principio dettato dalla Cassazione con la sentenza 11504/2017, che ha archiviato il criterio del tenore di vita.

Nel caso esaminato dai giudici, perciò, riconoscere l’assegno di divorzio alla consorte non equivale a garantirle una rendita parassitaria ma, piuttosto, a riequilibrare la condizione economica di una moglie che – dedicatasi in via esclusiva alla famiglia – si è impegnata, in un secondo tempo, per raggiungere «una adeguata qualificazione professionale che, come noto, di per sé non è affatto sufficiente per ottenere un reddito».

Le indagini patrimoniali
Inoltre, la Corte d’appello – riferendosi alle richieste istruttorie formulate dalle parti in chiusura di lite – coglie l’occasione per spiegare che, nel fissare l’assegno di divorzio, il giudice può disporre, d’ufficio o su istanza, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria.

Tuttavia, trattandosi di una deroga alle regole generali sull’onere della prova, l’esercizio di questo «potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del bagaglio istruttorio già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova». In altre parole, non è consentito far scattare indagini tributarie a meri fini esplorativi; al contrario, i fatti che incidono sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al mantenimento si possono contestare solo allegando elementi specifici e circostanziati (si veda l’ordinanza 23263/2016 della Cassazione). Nello stesso senso la Cassazione si è espressa anche con la sentenza 19422/2017, intervenuta in tema di risarcimento del danno da perdita del coniuge facoltoso.

Anche per questa ragione strettamente procedurale, oltre che per le motivazioni di merito descritte, la Corte d’appello di Palermo respinge entrambi gli appelli e conferma la decisione del tribunale.