MANTENIMENTO FIGLI:IL GIUDICE NON HA L’OBBLIGO DI ATTENENRSI ALLE RICHIESTE DEI GENITORI

Pubblicato da il 13 settembre, 2018

Nella determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli il giudice può discostarsi da quanto chiesto o concordato dai genitori. Non valgono, inoltre, le “normali” regole procedurali per l’acquisizione probatoria: è quindi valido anche il rapporto dell’investigatore privato depositato in sede di precisazione delle conclusioni. Questo è il principio affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza del 24 agosto 2018, n. 21178, nel rigettare il ricorso, proposto in danno di una sentenza della Corte territoriale di Torino – che reclamava la violazione delle norme procedurali in merito all’ammissione nel grado di appello di documenti “nuovi” – ha ritenuto preminenti e prioritarie le esigenze e le finalità «pubblicistiche di tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti, ed in virtù delle quali è fatto sempre salvo il potere del giudice di adottare di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, ivi compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento, da porre a carico del genitore non affidatario (ndr. non “collocatario”)».
In buona sostanza la Suprema Corte ha ribadito come, la legge vigente (articolo 6 comma 9 della legge sul divorzio e l’articolo 155 comma 7 del Codice civile) disponga in modo chiaro e conforme come «i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento, possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo» e possano essere «emessi dopo l’assunzione dei mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti di ufficio da parte del giudice».
Questo proprio perché la norma «opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per le finalità di natura pubblicistica». Di conseguenza le domande delle parti in tema di «assegni in favore della prole» non possono essere, semplicemente, respinte – laddove vi sia una non completa dimostrazione dei fatti sui quali le stesse si fondano – ma, al giudice viene richiesto di operare, sempre, una «adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli» verifica esperibile anche di ufficio.
L’intero impianto normativo oggi esistente nel nostro ordinamento – sia quello relativo alla determinazione dell’assegno divorzile, sia quello relativo al mantenimento dei figli – in modo specifico «introducendo il potere di disporre indagini ed assumere mezzi di prova (anche) d’ufficio» operando una chiara deroga alle regole generali sull’onere della prova, consente al giudice di determinare il contributo, dovuto nell’interesse della parte debole, ricorrendo ad ogni elemento e quindi anche quando sia «comunque in condizione di desumere aliunde l’attendibilità del dato (anche se solo) prospettato dalla parte». L’elemento probatorio, pur depositato tardivamente, ha dunque messo, correttamente, in condizione il giudicante di desumere, comunque, un profilo indiziario attestante maggiori redditi con la conseguente corretta determinazione «dell’incremento dell’assegno» dovuto in favore della prole.