ASSEGNO DI DIVORZIO. NON CONTA IL DIVARIO CON IL REDDITO DELL’EX

Pubblicato da il 10 novembre, 2017

Il peggioramento delle proprie condizioni economiche e il divario con il reddito dell’ex-coniuge non hanno nulla a che vedere con il diritto di una persona a vedersi riconosciuto un assegno divorzile: questi sono parametri che entrano in giudizio solo nella fase successiva, cioè solo dopo che viene accertato che l’assegno è dovuto e bisogna quantificarlo. Lo ha stabilito la Sesta sezione della Cassazione, con la sentenza 23602/2017 (presidente Genovese, relatore Lamorgese) depositata il 9 ottobre, che rinforza un principio di diritto che recentemente ha fatto notizia: quello secondo cui, ai fini della determinazione dell’assegno, non conta il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio (sentenza 11504/2017).

Quest’ultima pronuncia aveva stabilito una netta distinzione del giudizio in due fasi: la verifica dell’an debeatur (cioè se ci siano le condizioni di legge per ottenere l’assegno richiesto, ossia la mancanza di mezzi adeguati o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) e la quantificazione di ciò che è eventualmente dovuto.

Nella prima fase, precisa ora la sentenza 23602, l’«indipendenza od autosufficienza economica» va valutata in base agli indici di legge, come «il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, della capacità e possibilità effettive di lavoro personale, della stabile disponibilità di una casa di abitazione. E il giudizio va svolto sul materiale probatorio fornito dal richiedente, fermo il diritto della controparte «all’eccezione ed alla prova contraria».

Nella quantificazione, va tenuto conto degli elementi indicati dall’articolo 5 della legge 898/70: «le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi», il tutto da valutare anche in rapporto alla durata del matrimonio.

La sentenza rileva poi che nel merito la domanda divorzile era stata «accolta sulla base del mero divario tra le retribuzioni delle parti e sulla inadeguatezza delle stipendio percepito dalla richiedente, se raffrontato alla situazione economica in costanza di matrimonio». Ciò è errato, perché «non è il divario tra le condizioni reddituali delle parti al momento del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale che possono giustificare di per sé l’attribuzione dell’assegno, ma la mancanza della – indipendenza o autosufficienza economica – del coniuge richiedente».

Secondo il principio di diritto, ribadito, che supera la precedente giurisprudenza della Cassazione, si sottolinea che «nella fase del giudizio concernente l’an debeatur…– fase che non deve, in alcun modo, essere confusa con la successiva circa la misura dell’assegno – il coniuge richiedente l’assegno, per il principio di autoresponsabilità economica, è tenuto – quale persona singola – a dimostrare la propria personale condizione di non indipendenza o autosufficienza economica, sulla base degli indici sopra indicati in via orientativa».

Quindi, «alle condizioni reddituali dell’altro coniuge (unitamente agli altri elementi, di primario rilievo, indicati dalla norma) può aversi riguardo, soltanto nell’eventuale fase della quantificazione dell’assegno, alla quale è possibile accedere solo nel caso in cui, la prima fase ( an debeatur ) si sia conclusa positivamente, per il coniuge richiedente l’assegno». Non sono più praticabili commistioni tra le due fasi, tanto che la sentenza della Corte territoriale di Palermo è stata cassata con rinvio.