FALSE DONAZIONI, PER IL LEGITTIMARIO VALIDA OGNI PROVA

Pubblicato da il 13 novembre, 2017

Ogni mezzo di prova (e, quindi, anche la prova testimoniale o per presunzione) è ammesso nel caso in cui l’erede legittimario del donante deceduto intenda dimostrare, al fine di integrare la sua quota di legittima, che il de cuius ha posto in essere, in effetti, una donazione dietro un’apparenza di compravendita: lo ha stabilito il Tribunale di Milano nella sentenza 8057 del 17 luglio 2017.

Il caso preso in esame è quello di un atto, compiuto dal donante durante la propria vita, che ha l’apparenza della compravendita (atto simulato) ma che ha la sostanza della donazione (atto dissimulato), in quanto i contraenti si sono accordati sul punto che nessun prezzo venga pagato o che venga pagato un prezzo irrisorio.

Appare chiaro che, se si trattasse di una compravendita, gli eredi del “venditore” nulla potrebbero eccepire dopo la sua morte; invece, se si tratta di una donazione, il suo valore deve essere computato nel calcolo della cosiddetta “legittima”, e cioè di quella quota del patrimonio del defunto che necessariamente deve essere destinato ai suoi parenti più stretti (il coniuge o l’unito civile, i figli e i loro discendenti nonché gli ascendenti, se mancano discendenti). Se dunque sia posta in essere una compravendita e gli eredi legittimari abbiano la convinzione che si tratti di una donazione, si tratta di affermare la simulazione della compravendita: ma come dimostrarlo?

Va ricordato che l’articolo 1417 del Codice civile sancisce che la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti se la domanda di simulazione è proposta da creditori «o da terzi»; se invece è proposta da uno dei contraenti dell’atto simulato, la prova può essere data solo documentalmente.

La ragione della norma è che il contraente di un negozio simulato se ne può agevolmente procurare la prova documentale redigendo l’accordo simulatorio, vale a dire il contratto con il quale si dà atto dell’intento simulatorio dei contraenti del contratto simulato; invece, coloro che sono terzi rispetto ai contraenti, si trovano in una evidente situazione di eccezionale difficoltà nel procurarsi la prova della simulazione perpetrata da altri e, quindi, per essi la legge facilita l’onere probatorio.

Resta il tema se un legittimario, in quanto successore del donante, sia da qualificare come terzo (con facilità di prova) o come contraente (con difficoltà di prova).

Ebbene, la soluzione del dilemma è che il legittimario, seppur sia un successore del de cuius, agisce in simulazione per tutelare la propria legittima, cosicché egli è terzo rispetto alla fattispecie simulata, che dunque può essere provata per testimoni e presunzioni.